Antibiotici e autosomministrazione: una cattiva pratica
Uno studio pubblicato sulla rivista Healthcare delle Università di Salerno e del Molise è lo spunto dal quale la Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) ha evidenziato la necessità di sensibilizzare i pazienti a seguire scrupolosamente le indicazioni sulla terapia antibiotica prescritta dal dentista. Antibiotici e autosomministrazione: nello studio è dimostrato come le terapie antibiotiche prescritte dal medico odontoiatra siano meno seguite di quelle prescritte dal medico generico; Solo 1 paziente su 2 segue le terapie antibiotiche prescritte dall’Odontoiatra e solo 2 su 10 (con risultati migliori in chi ha diploma o laurea) dichiarano un’aderenza elevata alla prescrizione, ovvero ne seguono bene durata e dosaggio. Lo spiega la Società Italiana di Parodontologia e Implantologia all’ANSA.
Come contrastare questo trend
È necessaria un’attenzione superiore verso una prescrizione che sia più attenta e consapevole. È allo stesso modo importante una adeguata sensibilizzazione del paziente, che contrasti la cattiva pratica dell’autosomministrazione; e allo stesso tempo una corretta informazione sull’utilizzo del farmaco. Questo soprattutto in campo odontoiatrico. L’antibiotico interrotto prima del termine o assunto in quantità inferiore al dovuto – spiega all’ANSA il Prof. Tomasi, associato presso il dipartimento di Parodontologia dell’Università di Göteborg in Svezia, ed esperto SIdP – è un errore comune. È tipico di chi lo confonde con l’antidolorifico, ovvero smette di assumerlo non appena vede un miglioramento della sintomatologia. In questo modo si sterminano solo i batteri più deboli, di cui si nutrono i batteri più resistenti, che così trovano campo libero per riprodursi meglio e aumentare l’antibiotico-resistenza”.
Le conseguenze negative dell’uso errato dell’antibiotico
Questo uso non corretto può portare a conseguenze doppiamente negative. Nel singolo individuo la flora batterica viene distrutta. Viene distrutto cioè tutto l’insieme di batteri, anche i ‘buoni’ che contribuiscono alla salute dell’organismo. Uno studio mostra che, se il microbioma della mucosa orale tende a tornare alla normalità, dopo circa un mese dall’assunzione dell’antibiotico, quello intestinale impiega minimo un anno. Per la collettività invece il rischio è che l’utilizzo, eccessivo oppure sbagliato, aumenti la diffusione di infezioni di batteri contro i quali la maggior parte degli attuali farmaci non è più efficace. In Europa ogni anno questo fenomeno causa oltre 35.000 decessi.
Le buone pratiche da seguire per gli odontoiatri
Secondo la SIdP è importante che i dentisti prescrivano gli antibiotici solo quando strettamente necessari. Ad esempio per contrastare infezioni acute – come i classici ascessi – ; mentre da evitare come profilassi per ridurre il rischio di sviluppare infezioni. Secondo uno studio pubblicato su Jama Network Open la prescrizione di questi farmaci prima di una procedura odontoiatrica chirurgica è inutile in più dell’80% dei casi; dovrebbe invece essere riservato ai pazienti cardiopatici ad alto rischio. Spesso inoltre anziché intervenire con la rimozione di placca e tartaro subgengivale o, in casi specifici, con interventi chirurgici, si prescrive amoxicillina per il trattamento delle infezioni croniche come la parodontite (piorrea). Le linee guida della Federazione Europea di Parodontologia non prevedono un utilizzo degli antibiotici di questo tipo, mentre invece chiedono di limitarlo al massimo nelle infezioni croniche.
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